Il mondo del Food Advertising stuzzica il nostro interesse da tempo.
Per fortuna, lavoriamo spesso a stretto contatto con cose buonissime, piccoli omaggi dei nostri clienti del settore food & beverage.
Promuovere un prodotto, farne percepire l’odore e l’aroma ai consumatori è il nostro obiettivo. Come facciamo? Di solito, prima di avventurarci in un nuovo progetto lo “assaggiamo” per bene, perché solo così possiamo raccontarne il vero gusto. Quel gusto che rende unica e speciale un’impresa.
Food Advertising: quali sono le strategie di marketing on e off line più appetitose?
Per regalare al pubblico un’esperienza polisensoriale indimenticabile, i brand devono raccontare storie succulente che esaltano le proprietà dei prodotti e stimolano in pochi secondi il desiderio d’acquisto.
La ricetta perfetta per una pubblicità davvero “buona”, però, è semplice. Gli ingredienti principali sono un visual “sinestetico” e un copy chiaro ed efficace.
Il testo e le immagini devono scatenare i sensi delle persone, accendere in loro un desiderio.
Insomma, l’utente deve adocchiare qualcosa di buono, sentirne il profumo, immaginarne il gusto… e non vedere l’ora di avere quel prodotto tutto per sé. Ecco il potere di una squisita campagna pubblicitaria.
Come è possibile far percepire una sensazione gustativa senza che il cibo possa essere realmente assaggiato? È questa la vera sfida per i pubblicitari.
I sapori, soprattutto quelli complessi, sono difficili da rappresentare ma si può ricorrere alle sensazioni: hanno un’ampia gamma di espressioni e sfaccettature che possono essere facilmente comunicate, meglio se condite con un pizzico di creatività.
Facciamo qualche esempio.
Pringles si è messa alla prova con il piccante.
Nessun testo, solo un visual chiaro e semplice: il rosso dello sfondo aiuta l’immagine principale (un peperoncino) a chiarire che si tratta di una linea piccante. Una chicca: i semi del peperoncino sono le patatine!
Altri brand, invece, preferiscono ricorrere a un testimonial “competente”. È questo il caso della campagna del ristorante “Lecoq”. Il messaggio è diretto. Del resto se un gruppo di chef mangia in un ristorante può voler dire solo una cosa: è il migliore.
Il testimonial può essere un oggetto: un cucchiaio è senza dubbio un esperto di cereali.
Oppure ci si può concentrare su un aspetto specifico del cibo.
Un consiglio? Il modo migliore per raccontare un piacere rimane sempre raccontare una storia, meglio se la conoscono tutti e occorrono pochi tratti per evocarla.
Anche un’immagine può consentire di ricostruire una narrazione più ampia: da questa discende il valore finale del prodotto.